PALERMO. Tosca a Parigi, per Daniel Oren, e adesso Tosca al Teatro Massimo. Quanto cambia? «Cambia tutto perché cambia l’ambiente. A Puccini, immenso, si aggiunge il cuore palermitano. Le maestranze, il Coro, hanno la passione. La musica ha bisogno di questo, soprattutto Puccini e anche i direttori freddi o non possono sottrarsi a questo coinvolgimento o lo odiano. Qui l’orchestra è molto veloce: ho spiegato che bisogna stendere un tappeto di sonorità morbida per le voci e l’hanno capito in tre secondi. Loro si divertono con me».Che cosa ama soprattutto di «Tosca»?«Lei è una delle prime donne che difende il suo diritto di amare ed è disposta a sacrificarsi. Una grande novità. Io amo questa partitura: un milione di colori che Puccini ci dà. Lui si adopera con il suo amico per il Gregoriano del Te Deum e studia per mesi sulle campane per dare l’atmosfera di Roma».Fra le opere di Puccini quale non ha ancora diretta?«Il Trittico perché non ho trovato grandi cantanti».Quando lei dirige un' opera si fa il suo nome anzitutto, ma in altri casi un’opera sembra prender nome dal regista. Perché?«È la nuova moda e lo sbaglio più grande che c'è. In un' opera ci dev’essere una simbiosi. Le regie che vedo oggi sono brutte, con il gusto dell’orrore. La Tosca diretta a Parigi alla Bastille era bella, con una linea moderna ma con l’attenzione alla musica. A me manca molto Franco Zeffirelli. Due anni fa abbiamo fatto il Don Giovanni a Verona, è stato magnifico».